lunedì 12 dicembre 2011

Open space


I grossi brand, siano nomi noti anche da noi o roba made in Taiwan (com'è nel caso di questo show room) ben presto scipperanno personalità alla Thamel che uno si immagina, quella dalle mille botteghe con identica mercanzia, roba esposta a cazzo e il tentativo di migliorare senza rivoluzionare la propria vetrina ad opera di nepalesi doc o al massimo indiani in trasferta da sempre. Li trovi anche nei grossi store, i nepalesi, certo. Dietro una cassa, pagati un casso. E dietro il brand un monte di soldi che sputtanano il mercato (i prezzi per un affitto-vetrina fronte strada-sporca di Thamel son allineati ai nostri, anzi, pure di più) e fan sloggiar i poveretti (oddio, chi ha/aveva la fortuna di aver un negozio, tanto povero non lo è/era, qui). Si montano grandi vetrate, stilosissimi profili hi-tech e in tutta mostra manichini muscolati che di oriental-asiatico nemmanco c'han più il viso (dico, almen il viso da mascellato americano levatelo !!). Nella foto un chiaro esempio dall'interno. Qui c'eran almeno quattro botteghe e altrettanti piani/alloggio/uffici. Raso al suolo, rifatto. Rifatto bene, per carità, tanto che da fuori le altre vetrine, quelle dei normali, ora ti sembrano botteghe fuori dal tempo. Ben presto spariranno, fanno troppo comodo quei quattro turisti e quei cinque nepalesi coi soldi. Nota di servizio: capitar nell'open space al momento degli scatti per la campagna primavera/estate 2012 con relativo giro di  modelle  è l'unica vera nota positiva a tutta questa modernitàntipatica.